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VENUS NOIRE - VENERE NERA
(VENUS NOIRE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 giugno 2011
 
di Abdellatif Kechiche, con Yahima Torrès, Andre Jacobs, Olivier Gourmet, Jonathan Pienaar (Francia, 2010)
 
Più che curioso, un film straniante. Non fosse che per la vicenda, autentica: Sarah Baartman, afflitta da ipertrofia delle natiche, che all'inizio dell'Ottocento lascia l'Africa del Sud con il suo padrone per esibire il proprio corpo (sarà reclamato dal suo Paese solo nel 2004; essendo lei divenuta nel frattempo un mito nazionale) a Londra e Parigi, nelle fiere, negli avanspettacoli, ma anche di fronte agli uomini di scienza. Saartjie (quasi un'impensabile Yahima Torrès) crede in una sua liberazione grazie al mondo dello spettacolo, anche se gli inizi le riservano di accedere dallo stadio di schiava a quello dell'animale, venduta ad un domatore di orsi (il belga Olivier Gourmet, impressionante), con i genitali esposti allo scherno dei baccanali più volgari, ed egualmente all'umiliazione delle analisi bestiali condotte dai naturalisti dell'Accademia Reale di Medicina nella Parigi del 1817.

Allora, il mondo dello spettacolo, la condizione d'artista, il voyeurismo dello spettatore sono veramente cosi diversi dallo stato di schiavitù? VENUS NOIRE è la storia terribile di una donna che finirà per scegliere la prostituzione come via di scampo: e di un'altra, altrettanto allucinante, dello scienziato Georges Cuvier che concluderà “le razze dal cranio compresso sono condannate ad uno stato di perenne inferiorità”.

Dai precedenti di chi la racconta, il tunisino trapiantato a Parigi Abdellatif Kechiche autore dei miracolosi LA SCHIVATA e COUS COUS, sappiamo quanto egli rifugga dagli schermi romanzati, dalle deduzioni psicologiche; per inseguire sempre, fino ad una estenuante, inebriante esasperazione, ogni forma di vita racchiusa nei suoi personaggi colti dal vero. Questa sua prima cronaca non contemporanea, dopo quella cosi solare e fiduciosa precedente, in parte sorprende, per la sua osservazione distaccata, analitica. Ma sappiamo quanto il cinema si risolva sempre in una questione di sguardo: il lato implacabile del film nasce non tanto in cosa si racconti, ma in come si è posato lo sguardo sulle vicissitudini della “Venere ottentotta”.

La forza, a tratti ai confini del sopportabile, di un film per tanti film cosi ambizioso da risultare impossibile che gioca anche sulla lunghezza e sulla ripetitività come VENUS NOIRE nasce proprio dal fatto che lo sguardo fin troppo disinibito dello spettatore di oggi è costretto a fare sua la medesima violenza, l'insopportabile crudeltà di quello (che noi ci illudiamo essere superato dal percorso della civiltà) di allora. Lo scoramento e la pietà che nascono dal film non sono mai in funzione di un calcolo melodrammatico: ma legati all'impotenza per quello sguardo di venire in aiuto alla rassegnata solitudine dei personaggi.


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